sei Anni fa sono emigrato sul Tropico del Cancro, letteralmente.
Ho impacchettato la mia vita dentro un container, ho scelto con difficoltà 100 libri tra la moltitudine, sono salito su una macchina carica di oggetti e di sogni e sono partito da Bologna verso Genova, poi Barcellona, quindi Toledo, Cadice, Arrecife, finalmente Las Palmas e per ultimo Playa del Inglés.
Sono partito con un lavoro, che grazie alla fiducia del proprietario dell’azienda e dei miei colleghi mi sono portato dietro, con 20Mb di doppino telefonico Vodafone, un cellulare 3G e la conoscenza di una vita passata insieme alla tecnologia. Avevo 19 anni quando i miei genitori mi comperarono il primo 386DX, ne avevo 21 quando imparavo ad assemblarli e ad installarne il sistema operativo, ne avevo 14 quando usavo un Commodore 64, quando lo smontavo e quando le notti si facevano mattina con la caparbietà della curiosità indomita, tutta mia. Non fa curriculum, ma fa vita.
Poi, con il tempo, di lavoro me ne sono creato un altro, un anno fa ho creato la mia azienda, Paralelo28 design, perché il Tropico del Cancro e’ sul parallelo 28, e di nuovo ho cominciato a costruire sogni, prima miei, poi dei miei clienti, a volte da solo, a volte con amici e collaboratori.
Non e’ che sia stato facile gestire quei 5 anni in giro per il mondo, con la testa mezza al tropico e mezza a Bologna, e come con i chilometri non e’ stato semplice gestire la quantità di dati, che oggi sono dentro un cloud un po’ per ogni dove, ma che una volta dovevo portarmi dietro, in qualche modo, insieme alle mie cose e ai miei sogni.
La “mia scelta di vita” sul lavoro non mi e’ mai stata risparmiata, mai, da una mescola eterogenea di quelli che mi rimproveravano, che mi avrebbero ucciso, quelli che mi hanno invidiato, quelli che mi hanno detto hai fatto bene, quelli che mi hanno detto ti ammiro, quando io non avevo bisogno di nessuno di questi sentimenti perche io quel viaggio l’ho fatto per me, non per qualcun altro. I miei genitori invece sono sempre stati al mio fianco, non mi hanno rinfacciato nulla e mai accusato di nulla. La nonna ogni tanto mi chiedeva se ero felice, io le dicevo di si, lei mi chiedeva se ero sicuro e finiva li. Vivevo “all’inferno”, ma se ero sereno, andava benissimo, anche per lei.
Ho imparato a districarmi tra VPN, peertopeer, iCloud, Drive, One Drive, Dropbox, Skype, Hangout, TeamViewer, FaceTime, Anydesk, Filezilla e qualunque altro sistema ragionevole e possibile di conferenza, videoconferenza e condivisione, ho imparato a usare le mail come si devono usare, con i cc necessari e i ccn praticamente inesistenti, perché a mio avviso non andrebbero mai usati.
Ho imparato a buttare giù le ore di viaggio, le attese, la stanchezza, ho imparato a gestire lo stress, a incazzarmi quando necessario e non sempre, ed é stata durissima, a godere dei sabati dell’arrivo e a soffrire delle partenze anche quando ancora erano lontane. Ho imparato a gestire il mio tempo, le mie vacanze, le scadenze, gli appuntamenti, la vita.
Ora, in questo momento cosí inverosimile che ci troviamo tutti a gestire, ragionevolmente preoccupato di un mondo che preferisce non gestirsi, ogni tanto mi trovo a ripensare a questi 2190 giorni e un po’ sorrido. Sorrido nella consapevolezza del disastro che ci gira intorno, che arriva senza fartelo sapere, che si fa presente un po’ come gli pare, che non sai da dove arriva davvero, perché mi devo ricordare che sappiamo solo quello che ci vogliono fare sapere, nulla di più.
Io sono sereno. Sono sereno come lo ero quando me lo chiedeva la nonna, perché alla fine sono certo che se useremo la ragione ce la faremo. Sono sereno perché io la uso, non esco di casa se non mi é necessario, anche se ho il mare a due passi, anche se la primavera al tropico e’ uno spettacolo, anche se l’azzurro chiama ma che ragionevolmente so che chiamerà anche domani.
Guardo fuori della finestra, guardo l’oceano blu cobalto e l’aria che é tutta un fremito di luce e di colori. La gente sta sulla terrazza, guarda di sotto lasciando che il tempo passi, ascolta il silenzio, qualcuno fa ginnastica nel suo giardino. Per la strada passano tre anime all’ora, una porta il cane a fare la pipí, altre due fanno la spesa del piccolo Spar sotto casa. Su una strada centrale come la mia é inusuale, il silenzio é quasi inverosimile, sembra una città disabitata, sembra El Hierro e lo spettacolo della natura, il silenzio.
Torniamo a sentire il suono del silenzio, il profumo dell’aria senza tubi di scappamento che lordano l’azzurro. Stiamo tornando a vivere, mentre la paura e la morte si fanno vicine. E’ un ossimoro presente, ai tempi del coronavirus, che per assurdo va verso la direzione dove voleva andassimo tutti la piccola Greta, che con i suoi modi da spavento ci terrorizzava ma che ora ha la sua ragione, il cielo e’ più pulito, pieno di virus potenzialmente mortali, ma limpido. Gli uccellini cantano fuori della finestra, lo fanno sempre, ma li sentiamo meno, ora é un cantico dei cantici.
Sorrido consapevole che alla fine avevo ragione io, per assurdo insieme a Greta. Che si può lavorare a distanza senza essere per forza seduto a una scrivania, che non e’ vero che se non sei lí stai bevendo uno spritz sulla spiaggia, o forse sí, ma se lavori e produci a chi importa, a chi deve importare? Sono consapevole che se non avessi fatto “la mia scelta di vita” tutto questo sarebbe più difficile, per tutti e per ultimo per me. Se non avessi voluto con tutto me stesso quello che ho avuto, a quest’ora sarebbe semplicemente più complesso.
Non ho mica vinto niente, sia chiaro, non e’ una gara, perché vincono tutti, dobbiamo vincere tutti, ma e’ una piccola rivincita per un’anima inquieta come la mia.
Lo smart work non l’ho inventato io, ma sicuro io l’ho fatto diventare reale nel mio mondo. Tutte le rivoluzioni iniziano dalla testa, e se la testa c’é, beh evviva l’azzardo.
Ho giocato sul numero giusto e di nuovo, avevo ragione io.
P.S. Ora vedete ben di stare tutti in casa sereni, fino a quando sarà necessario.